CARBOIDRATI
e
FIBRA ALIMENTARE



I principali carboidrati di interesse alimentare possono essere distinti, in

base alla struttura chimica, in semplici e complessi. I carboidrati semplici,

comunemente detti zuccheri, comprendono i monosaccaridi, quali il glucosio ed

il fruttosio, e i disaccaridi, quali il saccarosio, il maltosio ed il lattosio. Gli

zuccheri sono presenti naturalmente negli alimenti primari o, in forma

raffinata, utilizzati come tali (saccarosio) o incorporati in alimenti e bevande

(saccarosio, sciroppo di glucosio a contenuto variabile di fruttosio) per

aumentarne la gradevolezza grazie al loro gusto dolce. I carboidrati complessi,

o polisaccaridi, comprendono l’amido e la fibra alimentare. L’amido è costituito

da polimeri di glucosio lineari (amilosio) e ramificati (amilopectina) in

proporzioni variabili. L’amido è, nella dieta del soggetto adulto sano, la

principale fonte di carboidrati disponibili all’assorbimento ed utilizzabili dal

metabolismo cellulare. Una percentuale di amido variabile, ma comunque

generalmente limitata, può non essere assimilata e viene definita Amido

Resistente. Altri carboidrati complessi non disponibili sono la cellulosa, le

pectine, le emicellulose, ed una varietà di gomme e mucillagini di varia origine.

Queste sostanze, insieme alla lignina (un polimero della parete cellulare

vegetale non composto da carboidrati), vengono usualmente definite con il

termine generale di Fibra Alimentare. Altre sostanze riconducibili alla struttura

chimica dei carboidrati sono i polialcoli (detti anche meno correttamente alcolzuccheri

o polioli). I polialcoli sono presenti, oltre che in piccola quantità nella

frutta (sorbitolo), in un numero crescente di alimenti ipocalorici o acariogeni, in

particolare caramelle e gomme da masticare, dove sostituiscono in tutto o in

parte gli zuccheri disponibili.

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Il valore energetico dei carboidrati è variabile: valori medi di utilità pratica

sono quelli fissati dal Decreto Legislativo 16 febbraio 1993 n.77 (G.U. n. 69,

24/3/1993) che regola l’etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari

uniformando la legislazione italiana con qella degli altro Paesi dell’Unione

Europea: si attribuisce un valore calorico di 4 kcal/g (17 kJ/g) per i carboidrati

disponibili (amido e zuccheri) e di 2,4 kcal/g (10 kJ/g) per i polialcoli. La fibra

alimentare è per definizione resistente alla digestione e all’assorbimento nel

tratto superiore dell’intestino umano ma può andare incontro a fermentazione

ad opera della microflora residente nel colon. I prodotti metabolici dell’azione

batterica sulla fibra alimentare sono metano, anidride carbonica, acqua e acidi

monocarbossilici a 2-4 atomi di carbonio, principalmente acido acetico,

propionico e butirrico, comunemente detti acidi grassi a corta catena o acidi

grassi volatili. Mentre la maggior parte dei ricercatori è concorde nel ritenere

che i polisaccaridi della fibra vengano significativamente degradati dalla

microflora nel colon, sono piuttosto controverse le opinioni sull’entità del

riassorbimento dei metaboliti che ne derivano. I dati disponibili sulla

degradazione dei diversi polisaccaridi vegetali e sull’assorbimento degli acidi

grassi volatili nel colon umano inducono a ritenere che la fibra alimentare

introdotta con una dieta mista possa rappresentare una modesta fonte di

energia per l’uomo, stimabile in 1,5 kcal/g (6 kJ/g) (British Nutrition Foundation,

1990). Tuttavia, tale apporto energetico è in pratica trascurabile ai fini del

bilancio energetico, dato che è controbilanciato da una riduzione

nell’assorbimento di alcuni nutrienti indotta dalla fibra stessa.

Carboidrati disponibili

E’ noto che i fabbisogni energetici dell’organismo per lo svolgimento dei

processi biologici che hanno luogo nelle cellule vengono soddisfatti oltre che

dai carboidrati anche da proteine, lipidi e alcool. L’essenzialità del glucosio

quale fonte di energia deriva dal fatto che alcuni tessuti, in particolare il

sistema nervoso e la midollare del surrene, in condizioni normali utilizzano il

glucosio come fonte elettiva di energia, e che inoltre gli eritrociti, essendo

sprovvisti dei sistemi enzimatici associati al ciclo di Krebs, sono dipendenti

dalla glicolisi per il loro metabolismo energetico. La biodisponibilità di glucosio

è pertanto essenziale per il corretto funzionamento di tali tessuti e riduzioni

della glicemia comportano gravi conseguenze cliniche. E’ stato calcolato che

per un soggetto adulto in condizioni normali sono necessari circa 180 g/die di

glucosio, di qualunque origine metabolica, per soddisfare i bisogni di energia

del sistema nervoso e degli eritrociti (FAO, 1980). L’uomo, come la maggior

parte dei mammiferi, è capace di trasformare alcuni aminoacidi ed il glicerolo in

glucosio e non ha quindi uno specifico fabbisogno alimentare per i carboidrati

una volta garantito un sufficente apporto di proteine e trigliceridi. Da questo

punto di vista, non si può parlare per i carboidrati di essenzialità - nel senso

almeno in cui il termine viene comunemente applicato ad aminoacidi, acidi

grassi, vitamine e sali minerali, nel qual caso per essenzialità si intende

l’incapacità dell’organismo a sintetizzarli - ma sarebbe forse opportuno parlare

di “necessarietà” . Si è infatti concordi nel sostenere che è bene che una

ragionevole proporzione del fabbisogno energetico derivi dai carboidrati. Una

dieta troppo ridotta in carboidrati porta infatti all’accumulo di corpi chetonici, a

un eccessivo catabolismo delle proteine tessutali e alla perdita di cationi,

specialmente sodio. Questi effetti possono essere prevenuti dall’ingestione di

50-100 g/die di carboidrati (Calloway, 1971).

Generalmente però la quantità di carboidrati introdotti nella dieta umana è

considerevolmente superiore al livello minimo di “necessarietà”. Nella dieta

italiana, la quota di energia soddisfatta dai carboidrati risultava nel 1980-84

pari al 46% dell’energia, (12,5% da zuccheri) (Saba et al., 1990). La quantità

ottimale di carboidrati nella dieta non è facilmente definibile, anche se

l’adesione alle raccomandazioni relative ai fabbisogni in proteine e lipidi

porterebbe la percentuale di energia che può derivare dai carboidrati a livelli

che variano dal 55 al 65% dell’energia totale della dieta. Per questa ragione,

anche in considerazione dei possibili effetti negativi collegati al crescente

livello di assunzione di lipidi da parte della nostra popolazione, sarebbe

opportuno raccomandare che almeno il 55% del fabbisogno energetico sia

fornito dai carboidrati. Poichè parte della popolazione adulta introduce calorie

dalle bevande alcoliche, una quota glucidica del 55% consente, in caso di

apporto di alcol non superiore al 10% dell’energia, di introdurre le quote

proteiche e lipidiche raccomandata. E’ auspicabile che questo obiettivo venga

raggiunto grazie ad un aumento nel consumo di alimenti ricchi in fibra o

contenenti amidi a lento assorbimento, mentre andrebbe contenuta la quota di

energia derivante da zuccheri raffinati.

A questo proposito va ricordato che zuccheri semplici sono contenuti in

numerosi alimenti primari, tra cui latte, frutta ed alcune verdure, naturalmente

ricchi anche in vitamine, minerali e/o fibra alimentare. Una dieta equilibrata e

ricca in fibra basata su alimenti comuni è quindi inevitabilmente associata ad

una introduzione non marginale di zuccheri semplici. In questo contesto gli

zuccheri non influenzano negativamente l’indice glicemico della dieta. Gli

zuccheri contribuiscono inoltre a rendere più gradevoli ed accettabili, specie in

età pediatrica, diete ricche in carboidrati. Va tuttavia notato che gli zuccheri

raffinati (ed in particolare il saccarosio consumato come tale o contenuto in

alimenti dolci) oltre ad aumentare la densità energetica della dieta sono un

fattore di rischio riconosciuto per la carie dentaria (Navia, 1994). Per questa

ragione il livello di zuccheri semplici nella dieta non dovrebbe superare il 10-

12% dell’energia giornaliera, favorendo il consumo di frutta e verdure e

limitando il consumo di saccarosio. Poichè la dieta del bambino è generalmente

più ricca di zuccheri semplici di quella dell’adulto in relazione al più elevato

consumo di latte, frutta e succhi di frutta ed alimenti dolci, può essere

accettabile in questa fascia di età una presenza di zuccheri semplici sino al 15-

16% dell’energia, ferma restando la raccomandazione della limitazione nel

consumo di saccarosio ed una corretta educazione all’igiene orale.

Fibra alimentare

Pur non potendosi considerare un nutriente, la fibra alimentare esercita

effetti di tipo funzionale e metabolico che la fanno ritenere una importante

componente della dieta umana. Oltre che all’aumento del senso di sazietà e al

miglioramento della funzionalità intestinale e dei disturbi ad essa associati

(stipsi, diverticolosi), l’introduzione di fibra con gli alimenti è stata messa in

relazione alla riduzione del rischio per importanti malattie cronicodegenerative,

in particolare i tumori al colon-retto (in parte spiegata dalla

diluizione di eventuali sostanze cancerogene e dalla riduzione del loro tempo

di contatto con la mucosa), il diabete e le malattie cardiovascolari (in parte per

una riduzione dei livelli ematici di colesterolo) (National Research Council,

1989). In considerazione dell’importanza della conoscenza del contenuto in

fibra alimentare e delle sue componenti solubile ed insolubile per la

valutazione differenziata del loro effetto biologico ed eventualmente per la

finalizzazione di un loro possibile impiego, particolare attenzione va posta alle

metodiche analitiche utilizzate per la valutazione del contenuto di fibra negli

alimenti. A questo proposito è auspicabile la standardizzazione dei dati riportati

nelle etichette nutrizionali degli alimenti commerciali, nelle diverse tabelle di

composizione e nelle banche dati attualmente disponibili anche al fine di

evitare confusione nel consumatore e tra gli operatori dei settori interessati.

Finchè ciò non avverrà, ogni raccomandazione quantitativa riguardo alla

introduzione di fibra alimentare in generale, e di fibra solubile in particolare,

andrà presa con la dovuta cautela. Così le raccomandazioni del WHO vengono

espresse sia come fibra alimentare (somma di cellulosa, emicellulose, pectine,

gomma e lignina) che come “polisaccaridi non amido” (Non Starch

Polysaccharides) cioè escludendo la lignina (WHO, 1989). Nelle tabelle di

composizione degli alimenti italiane, la fibra viene espressa come fibra

alimentare (Carnovale & Miuccio, 1989). I valori medi di introduzione di fibra

alimentare in Italia nel decennio 1980-90 sono risultati compresi tra 21 e 25

g/die (Management Committee COST 92, 1993). In queste medie generali vi

sono considerevoli variazioni regionali, giornaliere e stagionali, oltre che

individuali.

Poichè sulla base dell’evidenza scientifica è tuttora difficile discriminare il

contributo diretto della fibra da quello di altri componenti presenti in una dieta

ricca in alimenti vegetali (minerali, vitamine, antiossidanti non nutrienti,

carboidrati complessi) nel mantenimento dello stato di salute, un aumento

dell’assunzione di fibra rispetto ai valori attuali sembra auspicabile purchè

derivante da un più elevato consumo di alimenti ricchi di fibra (cereali, legumi,

verdure e frutta) piuttosto che da concentrati di fibra. Si può ipotizzare che, una

volta soddisfatte le indicazioni dei LARN relative all’energia totale e alla quota

derivante da carboidrati, l’introduzione di fibra potrebbe spontaneamente

aumentare di un 15-20% rispetto ai valori attuali, senza modificazioni

sostanziali nella tipologia degli alimenti consumati abitualmente nella dieta

italiana. Un ulteriore incremento sino al valore considerato ottimale di 30 g/die

sarebbe quindi facilmente raggiungibile dando occasionalmente preferenza ad

alimenti integrali o particolarmente ricchi in fibra. Un livello di introduzione di

30 g/die è allineato alle raccomandazioni correnti di altri paesi europei ed

extraeuropei e costituisce un obiettivo sensato e raggiungibile per la

popolazione italiana adulta. Nei gruppi di popolazione di età estrema (bambini e

anziani) la tolleranza, anche a livello gastrointestinale, è variabile ed inoltre

potrebbe occasionalmente verificarsi il problema della chelazione di sali

minerali o comunque la perdita di nutrienti. Un livello di assunzione di fibra

auspicabile in età pediatrica che tenga conto di questi problemi e nel contempo

permetta un graduale raggiungimento dell’obiettivo per l’età adulta può essere

calcolato nell’intervallo compreso tra il valore (in g/die) compreso tra l’età

anagrafca in anni maggiorata di 5 e l’età anagrafica maggiorata di 10 (American

Health Foundation, 1994). In alternativa si può raccomandare un apporto di

fibra pari a 0,5 g/die/kg di peso corporeo (American Academy of Pediatrics,

1993). E’ comunque da sottolineare che, indipendentemente dal calcolo in

grammi, adeguate quantità di fibra alimentare per l’età pediatrica possono

essere raggiunte semplicemente incoraggiando il consumo abituale di cereali,

legumi e verdure. In bambini sani e che non seguano particolari terapie

dietetiche, l’introduzione graduale e progressiva di alcuni alimenti di origine

vegetale è auspicabile già nel corso del divezzamento nella seconda metà del

primo anno di vita oltre che per l’apporto di una sufficiente quantità di fibra

anche per permettere una naturale accettazione di un corretto regime

alimentare dopo il primo anno.

Altre tipologie di carboidrati in grado di raggiungere il colon nella dieta

attuale italiana sono le frazioni di amido resistente associate ad alcuni alimenti

amidacei, gli oligosaccaridi non digeribili presenti in particolare nelle

leguminose ed in alcune verdure ed i prodotti contenenti polialcoli sia di

derivazione naturale che aggiunti come dolcificanti ipocalorici. Pur in assenza

di dati specifici di assunzione di questi composti si può stimare che la loro

introduzione giornaliera complessiva possa aggirarsi mediamente sui 7-10

g/die (Southgate 1989; EURESTA, 1994). Livelli di assunzione superiori

potrebbero verificarsi in soggetti che seguono diete basate su alimenti vegetali

o in forti consumatori di prodotti dolciari ipocalorici o acariogeni contenenti

polialcoli. Anche alcuni zuccheri normalmente digeribili, come il fruttosio ed il

lattosio, se assunti da soggetti intolleranti o se consumati in quantità eccessiva

in un’unica soluzione, possono in parte sfuggire all’assorbimento nell’intestino

tenue. E’ possibile che alcune di queste sostanze possiedano la capacità di

stimolare una microflora probiotica contribuendo quindi, con la fibra

alimentare, a migliorare l’ecosistema intestinale. Va tuttavia ricordato che, se

consumati in dosi eccessive, oligosaccaridi e polialcoli rapidamente

fermentescibili possono provocare disturbi intestinali quali distensione

addominale per produzione di gas e diarrea. La tolleranza è particolarmente

critica in soggetti non adattati, ragione per cui l’introduzione nella dieta di

alimenti contenenti significative quantità di oligosaccaridi non digeribili,

polialcoli, lattosio e fruttosio dovrebbe essere graduale.