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FIBRA ALIMENTARE

 

1 Introduzione

Già nel 12° secolo vi era chi proponeva, nell'indicare delle misure generali per il raggiungimento ed

il mantenimento di un "buono stato di salute", che il pane venisse fatto con farina di grano non

raffinato. Da allora con il passare degli anni e con l'avvento della cosiddetta civilizzazione, l'uso di

alimenti non raffinati e pertanto ricchi di fibra è stato sempre più trascurato e, solo negli ultimi

decenni, la fibra alimentare, prima addirittura considerata "non alimento", hanno assunto un posto

di primo piano nella nutrizione in generale e nella dietoterapia di diverse situazioni patologiche.

Tale interesse è stato suscitato innanzitutto dai numerosi studi epidemiologici che mettevano in

chiara evidenza come la diffusione di molte delle più comuni malattie della società occidentale (per

esempio la diverticolosi del colon, il cancro del colon e del retto, l'obesità, l'iperlipidemia, il

diabete, la cardiopatia ischemica) fosse inversamente correlata al consumo di fibra nelle varie

popolazioni.

Diverse osservazioni sperimentali hanno in seguito in molti casi confermato le indicazioni degli

studi epidemiologici nelle differenti situazioni sopra menzionate, per i riscontrati effetti delle fibre

sul metabolismo glicidico e lipidico in particolare.

2 Effetto della fibra alimentare sul metabolismo glicidico

a) Fibra aggiunta agli alimenti

I primi dati sperimentali riguardanti i possibili effetti delle fibre sul metabolismo dei carboidrati

(CH) sono stati ottenuti studiando l'effetto dell'aggiunta di diversi tipi di fibre ad un carico orale di

glucosio. Sia in sogetti normali che in soggetti con diminuita tolleranza al glucosio l'aggiunta di

guar o di pectina ad un carico orale di glucosio o ad un "test meal" riduce significativamente il

picco iperglicemico dopo il carico. Da questi primi studi sull'effetto acuto delle fibre si è passato,

solo alcuni anni fa, a studi sull'effetto terapeutico, nei pazienti diabetici, di vari tipi di fibre, ed in

particolare di guar, pectina e metilcellulosa. Jenkins e coll. hanno dimostrato, mediante studi

metabolici controllati, che l'aggiunta di guar alla dieta di un gruppo di pazienti diabetici sia

insulino-dipendenti che non insulino-dipendenti, migliora significativamente il controllo glicometabolico

del paziente riducendo sia la glicemia post-prandiale che la glicosuria. Tali esperimenti,

però, pur dimostrando chiaramente la possibile utilità delle fibre vegetali nella terapia del diabete,

non hanno risolto né possono risolvere i problemi legati alla scarsa appetibilità degli alimenti così

preparati e quindi tale approccio è stato confinato entro i limiti di un puro uso sperimentale.

b) Diete naturalmente ricche in fibra alimentare.

La soluzione al problema di un impiego terapeutico delle fibre vegetali è stata tentata attraverso

l'uso di alimenti naturalmente ricchi di tali sostanze di facile reperibilità. Numerosi studi condotti

secondo questo approccio dimostrano effetti terapeutici a volte addirittura sorprendenti sul

compenso glico-metabolico dei pazienti diabetici. Simpson e coll. hanno ottenuto durante un

periodo di 6 settimane di dieta con alto contenuto CH (61%) ed in fibre (97 g/die) un miglioramento

dell'equilibrio glico-metabolico sia in pazienti diabetici insulino-dipendenti sia in diabetici non

insulino-dipendenti. Risultati ancora più interessanti sono stati ottenuti da Anderson e coll.: con una

dieta contenente il 70% di CH e 65 g/die di fibre si otteneva un significativo miglioramento del

controllo glicemico di entità tale che in molti pazienti in trattamento sia con ipoglicemizzanti orali

sia con insulina (< 30 U.I./die) tale terapia poteva essere ridotta o addirittura sospesa.

La domanda che sorge spontanea valutando questi risultati è se il miglioramento ottenuto con tali

diete (ricche in fibre ma anche in CH) sia dovuto all'alto contenuto in CH e/o all'alto contenuto in

fibre, dal momento che è stato suggerito che un elevato consumo di CH potrebbe migliorare il

compenso metabolico dei pazienti diabetici. Gli Autori dei lavori citati per spiegare l'effetto

terapeutico della loro dieta attribuiscono una maggiore importanza all'alto livello giornaliero di

assunzione di CH che non al consumo di fibre vegetali. Che l'effetto benefico sul compenso glicometabolico

sia direttamente dipendente dal contenuto in fibre sembra invece chiaramente

dimostrato da una nostra recente sperimentazione. È stato studiato un gruppo di pazienti diabetici

che ha seguito, in corsia metabolica, tre tipi di dieta, due di analoga composizione (53% di CH) e

differenti soltanto per il contenuto in fibre (dieta A = 20g; dieta B = 54 g/die) ed una terza (dieta C)

con basso contenuto in CH (40%) e basso contenuto in fibra (20/die). In tal modo è stato possibile

verificare sia l'influenza isolata delle fibre sul compenso glicemico, paragonando gli effetti delle

prime due diete, sia l'importanza del livello di CH contenuti nella dieta, paragonando gli effetti delle

due diete con basso contenuto in fibre (20 g/die) e diverso contenuto in CH (53 vs 40%). L'alto

tenore di fibre induce di per sé un significativo miglioramento del controllo glico-metabolico,

valutato sia come glicemia post-prandiale che come profilo glicemico giornaliero (confronto tra

dieta A e B fig.1). L'aumento puro e semplice dei CH della dieta non accompagnato da un aumento

del contenuto in fibre non induce invece alcun miglioramento: i risultati ottenuti con le due diete a

differente contenuto in CH ma con uguale contenuto in fibre (dieta A e C) sono in larga parte simili

(fig.1).

c) Possibili meccanismi d'azione della fibre alimentare sul metabolismo glicidico.

È stato dimostrato che gli effetti delle fibre sul metabolismo dei carboidrati sono diversi non solo a

seconda del tipo di fibra utilizzato, ma anche a seconda del loro diverso stato fisico: una mela

consumata intera, una frullata (con fibre quindi alterate nel loro stato fisico) e il solo succo di una

mela (quindi virtualmente senza fibre), determinano risposte glicemiche ed insulinemiche differenti:

gli incrementi glicemici sono quasi sovrapponibili, ma il decremento glicemico successivo è tanto

maggiore quanto maggiore è la manipolazione dell'alimento; la risposta insulinica, invece, è

significativamente maggiore nei due casi con fibre alterate nel loro stato fisico. Questo suggerisce

che le fibre contenute nei diversi tipi di alimenti agiscono solo quando sono intatte e che qualsiasi

processo che ne modifichi le caratteristiche può compromettere i loro fisiologici effetti

sull'assorbimento intestinale dei CH.

Comunque, il possibile meccanismo atto a spiegare l'azione ipoglicemizzante delle fibre non è

ancora completamente chiarito ed è probabilmente differente a seconda delle priorità chimicofisiche

delle diverse fibre. Per quelle solubili in acqua la proprietà più importante a tal riguardo

sembra essere quella di formare a livello gastro-intestinale delle soluzioni viscose che rendono più

difficile la diffusione delle sostanze nutritive dal lume alla mucosa intestinale con conseguente

rallentato assorbimento dei carboidrati. Per le fibre insolubili in acqua, invece, non è ancora chiarita

la modalità con la quale esse potrebbero agire sul metabolismo del glucosio. Verosimilmente la loro

proprietà di aumentare le velocità di transito intestinale ridurrebbe i tempi di permanenza del cibo

nelle sedi idonee all'assorbimento e conseguentemente la stessa utilizzazione dei nutrienti.

3 Effetti della fibra alimentare sul metabolismo lipidico

I risultati ottenuti con il consumo alimentare delle fibre vegetali sui lipidi plasmatici sono alquanto

contraddittori. C'è da tener presente innanzitutto che solo alcuni tipi di fibre, come quelle

idrosolubili, (gomme, mucillagini e pectine), sono in grado di influenzare il metabolismo lipidico,

probabilmente per la loro capacità di formare soluzioni viscose a livello intestinale. Tali soluzioni

determinano un diminuito o rallentato assorbimento di alcuni importanti nutrienti come il glucosio,

i sali biliari, gli acidi grassi e il colesterolo.

Risultati molto interessanti sono stati ottenuti da Jenkins e coll., che con l'aggiunta agli alimenti di

guar, una tipica fibra idrosolubile, hanno ottenuto una diminuzione di circa il 13% sia del

colesterolo totale del plasma che di quello delle LDL in pazienti con iperlipoproteinemia tipo II A.

Questo sistema comunque, più farmacologico che dietetico, è proponibile solo per brevi periodi di

tempo per la scarsa appetibilità e gli effetti collaterali delle preparazioni di guar e consimili.

La possibilità, invece, di un impiego più propriamente dietetico su larga scala delle fibre vegetali è

stata da noi studiata già da alcuni anni. A tal fine abbiamo predisposto una dieta ricca in fibra,

composta eslusivamente di cibi naturali, nella quale vengono preferiti gli alimenti a più alto

contenuto in fibre, specialmente idrosolubili, come i legumi e la frutta. La composizione di questo

tipo di dieta, che è in grado di migliorare il compenso glico-metabolico nei pazienti diabetici,

mostra, oltre ad un alto contenuto in fibre (62 g/die) un contenuto medio in carboidrati complessi

(53%) e una quota media di grassi rappresentata in prevalenza dall'olio di oliva. Questa dieta è stata

seguita in corsia metabolica e per 10 giorni, da 11 pazienti con iperlipoproteinemia tipo II (5 con e 6

senza diabete). L'effetto ipolipidemizzante ottenuto è stato paragonato con quello ottenuto con una

dieta di eguale composizione, ma a basso contenuto in fibre (20 g/die). Anche quest'altra dieta era

seguita dagli stessi pazienti in corsia metabolica per 10 giorni.

Nei pazienti diabetici con associata iperlipidemia si aveva, alla fine della dieta ricca in fibra, una

significativa riduzione sia del colesterolo totale plasmatico che di quello delle LDL, di circa il 30%

rispetto alla dieta di controllo. Anche nei pazienti con solo iperlipoproteinemia la dieta ricca in fibra

determinava una riduzione sia del colesterolo totale che di quello delle LDL, ma in questo caso essa

si manteneva intorno al 10%, ben al di sotto quindi di quanto si era ottenuto nei diabetici.

La spiegazione più probabile di questa differenza è che la fibra alimentare agisce sul metabolismo

lipidico dei pazienti diabetici iperlipidemici mediante due meccanismi.

1) migliorando il controllo glico-metabolico, che a sua volta agisce sul metabolismo lipidico

limitando la sintesi delle VLDL e delle LDL;

2) ostacolando e rallentando l'assorbimento intestinale di colesterolo e sali biliari. Questo secondo

meccanismo è operante sia nei diabetici che nei non diabetici.

4 Effetti della fibra alimentare sul sovrappeso

Così come per il diabete, l'iperlipidemia ed altre malattie, l'importanza delle fibre vegetali

nell'etiologia e nella correzione dell'obesità nasce da due ordini di evidenze:

1) osservazioni epidemiologiche, che mettono in risalto come la prevalenza di obesità sia maggiore

nei paesi industrializzati, abituati ad un alimentazione povera di fibra indigeribile.

2) osservazioni sperimentali, tra cui quelle che mettono in risalto come un pasto ricco in fibre o con

aggiunta di vari tipi di fibra determini un aumento del senso di sazietà con conseguente spontanea

riduzione della quantità del pasto sucessivo e quindi a lungo andare dell'introito calorico globale.

Tali dati sono stati confermati recentemente in uno studio clinico su pazienti obesi eseguito in

Svezia, alimentati con una dieta addizionata o meno di farina di guar. Si è ottenuto un significativo

decremento ponderale nel gruppo alimentato con guar, anche se tale diminuzionenon era maggiore

di quella ottenuta con dieta ipocalorica senza aggiunta di fibre. L'appetito dei pazienti, valutato

mediante un questionario, era significativamente ridotto nel periodo con aggiunta di guar.

Perché le fibre determinano senso di sazietà? La prima possibilità esplorativa è la maggior durata

della masticazione con aumentata salivazione e quindi con un maggior numero di segnali di sazietà

che arrivano al cervello. Ancor più importante è che alcuni tipi di fibre, specialmente quelle

idrosolubili, rallentano lo svuotamento gastrico, il che ovviamente induce sazietà. Altra possibile

spiegazione deriva dall'effetto che le fibre esercitano sulla secrezione di insulina: l'aggiunta di fibre

ad un carico orale di glucosio determina un miglioramento della tolleranza glicidica e una riduzione

della secrezione insulinica, che ha, a sua volta, una notevole importanza sulla delicata regolazione

della fame e della sazietà.

In conclusione, per il concorrere dei suddetti meccanismi, una dieta ricca di fibre può essere

estremamente utile nel trattamento del paziente obeso, determinando un maggiore senso di sazietà

con riduzione a lungo andare dell'introito calorico globale e quindi una perdita di peso.

A questo si aggiunge anche un altro vantaggio dato dalla possibile maggiore aderenza dei pazienti,

specialmente per lunghi periodi, ad una dieta che, a differenza di tutti gli altri regimi ipocalorici in

genere utilizzati, riesce a soddisfare anche il gusto ed il maggior senso di appetito dei pazienti obesi.

5 Prevenzione delle coronaropatie con la dieta

Se le abitudini alimentari sono tanto importanti nel condizionare i fattori di rischio per

l'aterosclerosi e l'incidenza della sua espressione anatomo-clinica più frequente, quale devono

considerarsi le coronaropatie, deve essere altresì vero che un intervento dietetico appropriato e

mirato riesca non solo a modificare i fattori di rischio ma anche ad incidere a lungo andare sull'"end

point" che più interessa, cioè la mortalità per coronaropatia. Gli studi a tal riguardo sono ancora

pochi e sicuramente uno dei più importanti è quello effettuato ad Oslo su 1232 uomini di età

compresa tra 40 e 59 anni. La popolazione studiata è stata suddivisa in due gruppi: nel primo non si

è effettuato alcun intervento dietetico né terapeutico (gruppo di controllo), nel secondo oltre a

consigli generici per scongiurare il danno arrecato dal fumo si è fatto uno sforzo particolare per

cercare di modificare le abitudini alimentari degli individui. In particolare i suggerimenti

consistevano essenzialmente in una drastica riduzione degli alimenti ricchi in grassi saturi e

colesterolo insieme all'aumento delle fibre vegetali. Dopo 5 anni di osservazione, si è visto che la

riduzione del colesterolo e dei trigliceridi nel gruppo di intervento è stata significativamente

maggiore rispetto al gruppo di controllo.

Il dato più importante riguarda l'incidenza di infarto del miocardio e di morte improvvisa del 47%

che, dopo 5 anni,è risultata più bassa rispetto a quella registrata nel gruppo di controllo. Questo

risultato mostra chiaramente come sia possibile con un semplice intervento dietetico ridurre

l'incidenza di mortalità per coronaropatie. È inoltre estremamente stimolante perché suggerisce che

una dieta non orientata soltanto alla correzione di un solo fattore di rischio quale

l'ipercolesterolemia ma verso la maggioranza di essi (ipercolesterolemia, iperglicemia, ipertensione

arteriosa, obesità, aumentata trombogenesi) potrà dare risultati ancor più utili nella prevenzione

dell'aterosclerosi.